Leonard Fife è stato un documentarista di successo, specializzato in argomenti spinosi come l’utilizzo dell’agente arancio in Vietnam, la caccia di frodo delle foche o la pedofilia nella Chiesa; ma ora è anziano, malato terminale, e profondamente deluso da se stesso. Due suoi ex alunni, già vincitori di un Oscar per il documentario, arrivano nella casa che Leonard condivide da trent’anni con la moglie Emma per girare un film su di lui, e l’uomo si predispone a ciò che diventerà un testamento e una confessione. In passato infatti Leonard ha fatto cose delle quali non è affatto orgoglioso, sia nei confronti delle donne e dei figli che si è lascito alle spalle, che del gesto per cui è stato spesso lodato: sottrarsi all’arruolamento della guerra nel Vietnam emigrando dagli Stati Uniti al Canada. Perché quello che era stato interpretato come un atto coraggiosamente dimostrativo era invece l’ennesimo momento di viltà di cui vorrebbe ora fare ammenda.
Basandosi sul romanzo omonimo (in originale “Foregone”) di Russel Banks, autore di cui Paul Schrader aveva già portato sullo schermo Affliction (in italiano “Tormenta”), è per molti versi la quintessenza del cinema dello sceneggiatore-regista: racconta infatti un uomo che deve confrontarsi con se stesso e i suoi peccati dopo un lungo diniego, tormentato da sensi di colpa e desiderio di redenzione.
Questa volta però, a differenza di capolavori della prim’ora come Taxi Driver e Toro scatenato (dei quali Schrader ha firmato la sceneggiatura) o della sua seconda primavera, come Il collezionista di carte e Il maestro giardiniere (di cui ha curato anche la regia), Tradimenti è confuso e poco a fuoco: il che ha anche un senso drammaturgico, considerato che il suo protagonista è imbottito di antidolorifici che ne alterano il discernimento e racconta la sua vita mescolando fatti e invenzioni. Ma per lo spettatore è difficile venire a capo di una storia che sembra raccontata frettolosamente, dimenticando per strada elementi importanti che probabilmente erano più comprensibili nel romanzo di Banks.
Il che avrebbe ancora una volta un senso rispetto alla vita di Schrader, che negli ultimi anni ha sofferto di una grave malattia respiratoria, ha attraversato un episodio pesante di Covid e visto la sua consorte affrontare l’Alzheimer. Si ha dunque la sensazione che lo sceneggiatore-regista abbia confezionato Tradimenti con la paura di non riuscire a completarlo in tempo, e il risultato finale purtroppo ne soffre. Ci sono molte invenzioni narrative, come il passaggio dal bianco e nero al colore (tendenza frequente nel cinema contemporaneo), il cambio di quattro formati diversi e la scelta di far interpretare Leonard a due attori fisicamente molto dissimili come Jacob Elordi e Richard Gere (inserendo anche in alcune scene del passato un Richard Gere in versione 50enne), o di far incarnare due ruoli, che forse sono in realtà uno solo, alla stessa attrice (Uma Thurman): una struttura drammaturgica che ricorda Io non sono qui di Todd Haynes. Ma l’esito è eccessivamente straniante, al di là dell’intenzione di riprodurre nello spettatore lo smarrimento in cui vive il protagonista.
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